La prova orale dell’Esame di Stato: un’occasione persa?

Qualche annotazione su un tema attuale


Negli ultimi giorni, le cronache italiane sono state animate da un episodio insolito e significativo: alcuni studenti hanno (avrebbero?) “rifiutato” di sostenere l’orale dell’Esame di Stato in segno di protesta. Il loro dissenso, secondo quanto riportato da alcuni organi di informazione, sarebbe rivolto a un sistema di valutazione percepito come riduttivo e incapace di considerare la completezza della persona, focalizzato esclusivamente sui voti. Le reazioni non si sono fatte attendere, e tra le più nette c’è stata quella del Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, che in un’intervista ha parlato esplicitamente della necessità di promuovere una norma contro il “boicottaggio”, anche per una questione di rispetto.
Probabilmente questi singoli episodi potrebbero essere meglio inquadrati anche considerando le diverse situazioni in cui, al contrario, sono insegnanti, dirigenti e commissari a farsi protagonisti di episodi virtuosi di supporto diretto e personale a studenti che, per svariate problematiche, non si presentano alle sessioni di Esame e vengono personalmente contattati e “ricondotti” a scuola.
Tuttavia, al di là delle polemiche e delle legittime prese di posizione, è fondamentale soffermarsi sul significato profondo di questo gesto. E vorrei farlo riprendendo le acute e illuminanti riflessioni di Massimo Recalcati nel suo libro L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento.Il valore “esistenziale” dell’Esame di Stato
L’Esame di Stato, e in particolare la prova orale, pur con la consapevolezza delle percentuali altissime di studenti ammessi e promossi, non rappresentano una mera formalità burocratica o un’arida misurazione di nozioni. Recalcati ci invita a guardare alla scuola come un ambiente in cui la valutazione non è mai solo un voto, ma un riconoscimento della fatica, dell’impegno e della crescita di ciascuno. In questa prospettiva, l’orale assume un valore che trascende il singolo giudizio numerico, diventando un vero e proprio rito di passaggio.
Il gesto di questi studenti, pur comprensibile nella sua origine – la frustrazione per un sistema che a volte sembra ignorare la complessità dell’individuo e la ricchezza delle sue esperienze – li ha privati di un momento cruciale di confronto. L’orale è l’occasione per mettersi in gioco, per argomentare, per mostrare la propria capacità di connettere saperi, di elaborare un pensiero critico. È un momento in cui la voce dello studente può risuonare, dove la sua personalità può emergere. È in quel dialogo con la commissione che lo studente ha la possibilità di rivelarsi, di dimostrare non solo ciò che sa, ma chi è diventato attraverso il percorso scolastico. Rifiutare questo confronto, attribuendone la responsabilità all’altro, significa chiudere la porta a un’opportunità di auto-riconoscimento e di riconoscimento altrui.
Se è vero che l’eccessiva attenzione ai voti può trasformare la relazione educativa in una sterile competizione, la critica all’atto stesso della valutazione diventa miope, se non coglie che dietro ogni valutazione può esserci un atto di cura educativa. Rifiutare l’orale significa, in un certo senso, rifiutare questa possibilità di essere visti e riconosciuti nella propria unicità, al di là della semplice performance accademica.
Inoltre, Recalcati sottolinea come il limite, la regola, l’esame stesso, possano paradossalmente rivelarsi delle occasioni per la scoperta del desiderio. Affrontare la prova, superare l’ansia, misurarsi con la propria preparazione non è solo un esercizio mnemonico, ma un’esperienza che forgia il carattere, che rivela risorse interiori insospettabili. Sottrarsi a questo momento significa rinunciare a un’opportunità di auto-conoscenza, di misurazione delle proprie forze e, in ultima analisi, di scoperta del proprio desiderio di conoscenza e di realizzazione.

Un rito di passaggio mancato
L’Esame di Stato, con la sua ritualità e la sua solennità, segna un passaggio fondamentale. È un rito di iniziazione che sancisce la fine di un ciclo e l’apertura a nuove possibilità, sia accademiche che professionali. Rinunciare a viverlo pienamente significa privarsi di un momento fondamentale di transizione, di un’esperienza che, pur faticosa e a volte stressante, può lasciare un segno indelebile e profondamente positivo sulla propria vita. È l’occasione per dimostrare a sé stessi e agli altri di essere pronti per il prossimo capitolo, di aver acquisito gli strumenti non solo per “sapere”, ma per “essere” nel mondo.
In un’epoca in cui la scuola è spesso ridotta a un luogo di mera erogazione di contenuti e i giovani cercano spazi per esprimere la propria individualità, le parole di Recalcati ci ricordano che il suo valore più autentico risiede nella capacità di formare individui, di accompagnarli nella scoperta di sé e del mondo. L’orale di maturità, se vissuto nella sua dimensione più profonda, non è un’espressione di giudizio arido, ma un incontro, un dialogo, un’occasione per mostrare il frutto di anni di impegno e, soprattutto, per riconoscere il proprio posto nel divenire. Non una costrizione, ma una liberazione verso la vita adulta, un’occasione che, purtroppo, è stata persa.

Francesco Rovida
coordinatore della formazione EIP Italia

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