Divari scolastici in Italia

Il dato importante è che le scuole autonome possono fare la differenza


Un recente studio condotto da Fondazione Agnelli e Fondazione Rocca, intitolato “Divari scolastici in Italia. Un’indagine sulle differenze di apprendimento nei territori e tra le scuole”, presentato il 29 maggio 2025, offre spunti cruciali sul fenomeno dei divari di apprendimento nel nostro Paese. L’indagine non si è limitata ad analizzare le ben note disparità territoriali Nord-Sud, ma ha esplorato in profondità come le azioni delle singole scuole possano concretamente fare la differenza nel migliorare i risultati degli studenti e nel ridurre le disuguaglianze.

Oltre il divario territoriale: l’impatto della scuola

È un dato ormai consolidato che i divari di apprendimento in Italia siano una criticità grave, con pochi eguali in Europa. Questi divari, già presenti nella scuola primaria e in crescita nella scuola media, si amplificano ulteriormente nella secondaria di II grado. L’indagine conferma la forte relazione tra le condizioni socioeconomiche e culturali delle regioni e i risultati di apprendimento, con i divari che spesso seguono l’asse Nord-Sud. Tuttavia, un’analisi più approfondita rivela che limitarsi alla dimensione territoriale sarebbe un errore di prospettiva. Le differenze “fra le scuole” e “dentro le scuole” giocano un ruolo significativo nel determinare gli esiti degli apprendimenti.

A tal proposito, è emerso che le differenze tra gli indirizzi di studio (licei, tecnici, professionali) hanno un impatto rilevante. Ad esempio, a parità di altre condizioni, frequentare un liceo classico o linguistico “spiega” uno svantaggio di 14 punti INVALSI in matematica rispetto a un liceo scientifico. Questo suggerisce la necessità di rafforzare l’orientamento nella scuola media e, in prospettiva, di ripensare la struttura didattica della scuola superiore per garantire a tutti un livello più robusto e comune di competenze di base.

Ruolo determinante dell’autonomia scolastica

Una delle conclusioni più incoraggianti dell’indagine è che le scuole, attraverso la loro capacità organizzativa, possono fare la differenza. Come sottolineato da Gianfelice Rocca, Presidente di Fondazione Rocca, il tema non è tanto aumentare il numero di insegnanti o di risorse (già tra i più alti d’Europa), quanto piuttosto incidere sull’organizzazione interna della scuola. I casi di studio qualitativi condotti in cinque scuole “eccellenti” (tre professionali, un tecnico e un liceo), i cui risultati erano nettamente superiori alle aspettative rispetto al loro contesto, hanno permesso di identificare ingredienti chiave di successo.

Queste scuole di successo hanno messo in evidenza i seguenti punti chiave:
Modello organizzativo cooperativo e leadership condivisa
Adottano modelli che favoriscono la collaborazione tra dirigenti e docenti, con una leadership focalizzata sul miglioramento continuo, un clima scolastico positivo e il contrasto ai ritardi di apprendimento. La gestione unitaria degli istituti con più indirizzi porta benefici, e vi è una specifica attenzione alla comunicazione con le famiglie.
Gestione dinamica e proattiva delle risorse
Queste scuole sono capaci di orientare i progetti finanziati esternamente (es. Ministero, PNRR) in base ai fabbisogni reali della scuola, integrandoli con attività aggiuntive e focalizzandosi sul rafforzamento delle competenze di base. Vi è anche una cura nel rinnovamento degli spazi e dei laboratori.
Gestione collegiale della didattica e dei curricoli
La collegialità interdisciplinare nella definizione degli obiettivi formativi e dei metodi didattici è fondamentale. La didattica è centrata sullo studente, con ricorso a esercitazioni e personalizzazione dell’insegnamento, e i docenti sviluppano modelli comuni di progettazione didattica che valorizzano le dimensioni pratiche e professionali delle competenze di base.
Attività extracurricolari ricche e dinamiche
L’offerta di attività extracurricolari, in rete con enti locali, imprese e terzo settore, ha un impatto significativo e positivo sugli esiti di apprendimento. Queste attività sono spesso orientate alle competenze di base e al supporto degli studenti più svantaggiati, includendo progetti di inclusione per studenti di origine straniera o provenienti da famiglie vulnerabili.

Verso un’autonomia “accompagnata”

L’indagine suggerisce di puntare su uno sviluppo di un’autonomia “accompagnata”. Questo significa rafforzare il middle management scolastico con un riconoscimento e incentivi specifici, e promuovere un’autonomia scolastica differenziata piuttosto che generalizzata, per evitare di amplificare i divari esistenti. Le scuole che da anni sono impegnate in un processo di innovazione della didattica, degli ambienti di apprendimento e della governance, se sostenute e monitorate, possono aprire la strada a un nuovo modello scolastico a beneficio dell’intero sistema.

In sintesi, i risultati di questa ricerca sottolineano che, pur in presenza di divari complessi e radicati, le scuole hanno un potenziale enorme per incidere positivamente sui livelli di apprendimento. Investire nella formazione dei docenti, supportare una leadership scolastica efficace e promuovere una gestione innovativa e collaborativa delle risorse e della didattica sono passi fondamentali per costruire un sistema educativo più equo e di alta qualità per tutti i nostri studenti.

Riflettere su nuove strategie formative per accompagnare le scuole nei loro percorsi di miglioramento

Un ulteriore elemento di riflessione sul tema è rappresentato dal Seminario tenutosi presso la sede del Ministero dell’Istruzione e del Merito sul tema “Il miglioramento dell’offerta formativa: le sfide per il sistema scolastico nell’epoca della transizione tecnologica e demografica per combattere la povertà educativa”.

Tra i diversi interventi presentati, la dott.ssa Michela Freddano, primo ricercatore INVALSI, ha posto l’accento sulla personalizzazione e sul ruolo del tutor pedagogico.

La ricercatrice ha evidenziato che il contesto attuale rivela un panorama educativo in evoluzione. L’Italia mostra una crescita della percentuale di popolazione adulta (25-64 anni) con diploma, raggiungendo il 65,5%, e un aumento dei giovani (25-34 anni) con un titolo terziario, pari al 30,6%. Si registra inoltre una maggiore scelta di studi STEM nel settore terziario e una più ampia partecipazione dei bambini di 4-5 anni alla scuola dell’infanzia, sebbene la situazione sia ancora migliorabile rispetto ad altri Paesi europei. Nonostante questi progressi, la dispersione scolastica esplicita si attesta al 9,8% nel 2024, con persistenti divari territoriali e di genere, sfavorendo il Mezzogiorno e i maschi, e influenzata dalle condizioni socioeconomiche di partenza. Le Rilevazioni Nazionali INVALSI e i risultati degli studenti quindicenni nelle prove OCSE PISA 2022 confermano queste disparità, evidenziando come il background familiare incida profondamente sui risultati scolastici. Preoccupante è anche il dato che almeno una persona su quattro sotto i 18 anni è a rischio di povertà o esclusione sociale, e che il 56,7% dei giovani di 25-34 anni con bassa istruzione nel Mezzogiorno è a rischio povertà.

Il quadro normativo ha risposto a queste sfide con una serie di interventi mirati. Il DM 24 giugno 2022, n. 170, ha destinato risorse a 3.198 istituzioni scolastiche nell’ambito del PNRR. L’Agenda Sud, con il DM 30 agosto 2023, n. 176, ha focalizzato l’attenzione sulle Regioni del Mezzogiorno, coinvolgendo 245 scuole secondarie di I e II grado e 1.906 scuole primarie. Analogamente, l’Agenda Nord, tramite il DM 27 maggio 2024, n. 102, ha interessato 245 scuole primarie e secondarie e 2.919 scuole primarie delle Regioni del Centro-Nord nell’ambito del PN “Scuola e competenze 2021-2027”. Il Decreto Caivano (DL 15 settembre 2023, n. 123) ha introdotto misure urgenti contro il disagio giovanile e la povertà educativa. Inoltre, le Linee Guida per l’orientamento (DM 22 dicembre 2022, n. 328) e il DM 19 novembre 2024, n. 233, hanno destinato risorse per percorsi di orientamento nelle scuole secondarie di primo grado, con l’obiettivo di valorizzare i talenti degli studenti e ridurre la dispersione.

Le azioni formative di accompagnamento a questi interventi devono partire da alcuni principi fondamentali.
In primo luogo, lo studente deve essere al centro del processo educativo, in una “scuola del merito” che sappia valorizzare i talenti di ciascuno e rimuovere gli ostacoli alla piena realizzazione della persona. Questo implica una didattica che riconosca il protagonismo di ragazzi e ragazze e ne sostenga la partecipazione attiva.
Fondamentale è poi la personalizzazione dei percorsi formativi, intesa come un “abito sartoriale fatto su misura” che tenga conto delle inclinazioni, delle potenzialità e delle problematicità di ogni studente. Tale approccio è longitudinale e preventivo rispetto all’insuccesso scolastico, ed è uno strumento cruciale per ridurre i divari e la dispersione, anche attraverso il coinvolgimento delle famiglie. L’orientamento, infatti, gioca un ruolo centrale in questo processo, facilitando la conoscenza di sé e del contesto per la definizione di obiettivi personali e professionali. I dati mostrano che circa il 60% delle famiglie degli studenti di scuola secondaria di I grado segue il consiglio di orientamento della scuola, mentre il 40% non lo segue.

In questo contesto, il docente tutor emerge come figura strategica. Introdotto per la prima volta nel 1991 per affiancare i docenti neo-immessi, il “tutor” è ora chiamato, dalle Linee Guida per l’orientamento, a svolgere due funzioni principali nelle scuole secondarie di I e II grado: aiutare ogni studente a rivedere le parti fondamentali del proprio E-Portfolio personale e costituirsi “consigliere” delle famiglie nelle scelte dei percorsi formativi e professionali, utilizzando anche i dati territoriali e nazionali. Le attività di Formazione volontaria incentivata hanno già coinvolto 72.475 docenti.

Il tutorato è “pedagogico” quando applica le conoscenze teoriche in contesti reali, ancorando la riflessione alla pratica dell’educazione e della formazione. Il docente tutor, inteso come “professionista riflessivo”, deve saper documentare e monitorare i percorsi, utilizzare i dati della valutazione, coinvolgere le famiglie e integrare il proprio operato con la progettazione d’istituto, mantenendo centrali il rafforzamento degli apprendimenti di base e il contrasto alla dispersione.

La valutazione, in questo scenario, non è un mero giudizio, ma uno strumento per il miglioramento. I processi valutativi devono essere esperienze di “razionalità riflessiva” che supportano il sapere professionale dei docenti. È fondamentale individuare priorità di esito e obiettivi di processo che investano sulla personalizzazione e sul tutorato pedagogico, in coerenza con il progetto identitario della scuola.
L’obiettivo finale è la costruzione di veri e propri “ecosistemi educativo-formativi”. Ciò implica il potenziamento delle competenze non cognitive e trasversali, delle competenze digitali e della data literacy. Si promuove una “valutazione formante” che integri momenti didattici e valutativi, rendendo gli studenti protagonisti della propria autovalutazione. La formazione deve essere trasformativa, continua e basata sull’esperienza. Infine, è cruciale valorizzare il capitale sociale e la governance, affinché la scuola diventi un polo educativo e un presidio di sviluppo territoriale, in grado di generare relazioni autentiche con enti locali, istituzioni e associazioni del terzo settore. Solo così il sistema scuola potrà affrontare le sfide e rispondere ai cambiamenti in modo autorevole, consapevole e sostenibile.



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