Mentre Copernicus certifica che il 2025 sarà il secondo anno più caldo di sempre, sigillando un triennio di temperature record oltre la soglia di 1,5°C, l’opinione pubblica sembra scivolare in un pericoloso torpore. Come sottolinea Ferruccio de Bortoli sul Corriere della sera del 10 dicembre 2025, il cambiamento climatico “non ci fa più né caldo né freddo”.
C’è un’espressione nella lingua italiana che, letta oggi, assume un retrogusto amaro e paradossale: “Non mi fa né caldo né freddo”. La usiamo per descrivere l’indifferenza totale, l’apatia di fronte a un evento. È proprio da qui, da questo gioco di parole divenuto tragica realtà, che parte la riflessione di Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera del 10 dicembre. Mentre il termometro globale sale inesorabilmente, la nostra soglia di attenzione e indignazione crolla. Viviamo il paradosso di un mondo fisicamente sempre più bollente e di una società emotivamente sempre più gelida.
La sentenza dei dati: un triennio di fuoco
Se l’indifferenza è un sentimento soggettivo, i numeri restano fatti incontrovertibili. Gli ultimi report di Copernicus, il servizio di monitoraggio climatico dell’Unione Europea, rilanciati in questi giorni da Avvenire e Il Sole 24 Ore, non lasciano spazio a interpretazioni: il 2025 si appresta a diventare il secondo anno più caldo mai registrato, posizionandosi subito dopo il 2024.
I dati sono impietosi:
– Il mese di novembre 2025 è stato il terzo più caldo della storia a livello globale.
– Siamo di fronte a un “triennio terribile” (2023, 2024, 2025) che ha riscritto la storia della climatologia.
Come riportato dal WWF e analizzato dal Sole 24 Ore, per la prima volta la temperatura media globale si è attestata stabilmente sopra la soglia critica di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali per un periodo prolungato.
Quello che l’Accordo di Parigi aveva fissato come un limite di sicurezza da non valicare, è diventato il nostro nuovo, invivibile standard. Non è più un picco isolato, è la nuova normalità.
L’anestesia collettiva
Eppure, di fronte a questi bollettini di guerra climatica, la reazione collettiva è un’alzata di spalle. De Bortoli centra il punto focale: siamo assuefatti. La notizia del record di caldo non buca più lo schermo, non ferma più le conversazioni al bar, non sposta voti. È diventata “rumore di fondo”, come il traffico in città o la pubblicità in televisione.
E lo testimonia, nel suo piccolo, anche lo scarso interesse che le pagine dedicate al tema della sostenibilità suscitano nei lettori del nostro sito web. Eppure, il tema è pienamente integrato in molti aspetti dell’insegnamento scolastico.
Questa “assuefazione all’apocalisse” è forse il pericolo più grande. Quando l’eccezionale diventa quotidiano, smettiamo di percepirlo come un’emergenza. Leggiamo che i ghiacciai fondono e che le stagioni sono saltate, ma lo facciamo con lo stesso distacco con cui scorriamo le foto delle vacanze altrui sui social. L’allarme del WWF sulla necessità di agire “ora o mai più” rischia di cadere nel vuoto non perché non sia vero, ma perché il pubblico è saturato, stanco, o forse semplicemente rassegnato.
Risvegliarsi dal torpore
Il 2025 non sarà ricordato solo come l’anno che ha confermato il surriscaldamento irreversibile del pianeta, ma potrebbe passare alla storia come l’anno in cui abbiamo smesso di preoccuparcene davvero.
La sfida, dunque, non è più solo tecnologica o politica, ma culturale e psicologica. Dobbiamo recuperare la capacità di spaventarci, di indignarci e, soprattutto, di agire. Perché se è vero che umanamente il tema “non ci fa più né caldo né freddo”, fisicamente il pianeta non ha intenzione di aspettare che ci passi l’apatia.
Il clima sta cambiando, con o senza il nostro interesse; sta a noi decidere se vogliamo essere spettatori annoiati della nostra stessa estinzione o protagonisti di un ultimo, disperato tentativo di salvezza.