Valutazione nella scuola primaria in Italia: appunti su origini e sviluppo degli studi sulla valutazione scolastica – prima parte

Costruire una cultura della valutazione


Per gentile concessione dell’autrice, pubblichiamo alcuni in tre parti un approfondimento sulla valutazione nella scuola primaria tratto dalla tesi di Laurea Magistrale in Psicologia del lavoro e del benessere organizzativo della dott.ssa Antonia Carla Greco (relatore la prof.ssa Gabriella Agrusti).
Il lavoro di ricerca, intitolato Analisi sui bisogni di formazione nella scuola primaria: tra andragogia e pedagogia, si è proposta di indagare i bisogni formativi dei docenti della scuola primaria e comprendere come siano state accolte ed assimilate le innovazioni relative alla valutazione degli alunni, così come indicate dall’O.M. n. 172 del 2020.
Tale ricerca è stata condotta tramite interviste ai dirigenti scolastici e ai docenti, con il coordinamento della prof.ssa Valeria Damiani, a cui sono state poste domande circa le innovazioni intervenute ed i bisogni che ne sono scaturiti.


Proporre un’analisi accurata dello sviluppo delle molte concezioni e definizioni della valutazione nella letteratura pedagogica e didattica è certamente un’operazione interessante che offre indicazioni utili alla ricostruzione della difficile storia della docimologia.

Per fornire un quadro di riferimento nel quale collocare la riflessione successiva e sottolineare l’emergere di alcuni aspetti significativi nella evoluzione storica degli studi sulla valutazione, si evidenziano alcuni orientamenti generali, mantenendo, come orizzonte culturale di riferimento specifico, quello italiano e il cambiamento di prospettiva che ne è derivato, seguendone l’andamento storico.

1. I prodromi nel secolo XIX

È significativo notare come il pensiero di alcuni autori del secolo scorso, pur senza organicità di trattazione e comunione di intenzioni, portano avanti l’esigenza di affrontare il momento valutativo al di là di una semplice considerazione di “premi e castighi”.

Si segnala per la moderna intuizione metodologica una espressione del Guarini (Piacente, 1975, p. 45), secondo cui “Né il maestro si accontenti di avere spiegato una sola volta, ma ripetendo spesso le stesse regole, eserciti con ciò la memoria dei fanciulli e, come un diligente generale, si accerti delle nozioni che essi hanno imparato e fino a che punto le abbiano assimilate. Talvolta egli stesso inserisca qualche errore nella declinazione, per vedere fin dove arrivi la loro sicurezza. Sarà, infatti, un grande prova di profitto quando apparirà chiaro che essi capiscono gli errori altrui”.

Emerge, altresì, l’intuizione della necessità di operare valutazioni giuste: “i segni di lode distribuiti nelle scuole e nelle accademie, richiederebbero una norma infallibile, e una infallibile giustizia che la applichi; […]. I giudizi quotidiani de’ meriti o dei demeriti dell’alunno rischiano di fare in minuzzoli la sua coscienza, e di parere, per la minuziosità stessa, non giusti; imbrogliano la coscienza del giudice, il quale non ha tanto in mano di potere per l’appunto determinare quanta parte nell’apparente svogliatezza o malvolere abbia il libero arbitrio, quanto la disposizione del corpo, il turbamento dell’animo, le distrazioni, gli esempi, forse un dovere morale da adempiere, forse la svogliatezza o il malvolere dello stesso maestro” (Tommaseo, 1874, pp. 107-108).

In questo senso si fa strada l’ipotesi della necessità di conoscere a fondo il soggetto che la scuola, soprattutto attraverso le procedure di osservazione, si propone di educare. Ai maestri della scuola elementare era richiesto, in alcuni casi, di effettuare annotazioni molto precise sulle qualità dei propri alunni, distinguendo quelle fisiche, intellettuali, morali (da incoraggiare o da correggere), le particolari attitudini, i fatti che meritano di essere ricordati, i mezzi didattici utilizzati e, alla fine, i risultati dell’apprendimento (Acciaroli & Vertecchi, 1992).  La periodicità con la quale vengono effettuate queste rilevazioni consente di seguire lo sviluppo globale di un alunno, inquadrando i suoi risultati scolastici in un itinerario di maturazione fisica, intellettuale, morale, sociale e personale.

A questo proposito, giungono le prime proposte di una “carta biografica” sulla quale annotare le caratteristiche dell’alunno divise, a parere di Giuffrida (1885), secondo quattro categorie: la prima riguarda le facoltà fisiche, la seconda le facoltà intellettuali, la terza le facoltà morali, la quarta è dedicata a media generale, facoltà predominanti, coltura. Questo tipo di indicazioni mostra con chiarezza la consapevolezza di insegnanti e responsabili della scuola circa la possibilità di intervenire con successo nell’itinerario formativo attraverso l’azione di insegnamento.

Anche a livello di teoria didattica, si va verso una diversa considerazione della pratica degli esami, da considerare ed utilizzare non tanto come controllo simile “al pagamento di dazi”, ma come monitoraggio continuo da effettuarsi nel corso delle lezioni: quasi una sorta di “preludio” alla moderna valutazione formativa.  È già chiaro il valore prettamente educativo-pedagogico, al di là della pura funzione di stimolo, dell’atto di verifica: “Interrogando con amore, e commentando le risposte di ciascuno, il maestro rifà, in iscorcio, il pensiero svolto nella lezione sulla quale interroga; e dai vari rifacimenti adattati ai bisogni individuali esce un nuovo tutto, in vantaggio della classe; e viene quindi denunciata che la media numerica dei voti non si può fissare volta per volta, attribuendo ai punteggi conseguenze giuridiche, ma solo alla fine, con cordiale, palese, estesa indagine sul suo complessivo valore” (Lombardo Radice, 1912, pp. 165-167).

Nonostante queste proposte, però, la situazione resta immutata, non soltanto a livello istituzionale: una sorta di rifiuto immobilista di qualsiasi innovazione sarà il paradigma con cui si confronteranno in Italia, nel dopoguerra, le proposte provenienti dalla pubblicazione dei risultati della docimologia (Benvenuto & Giacomantonio, 2008).

2. La critica docimologica e il modello psicometrico

Prima ancora che come problema di carattere politico, riguardo le opportunità reali di accesso all’istruzione da parte di tutti i cittadini, la valutazione venne analizzata dal punto di vista tecnico.

 Già nella prima metà del secolo scorso, negli Stati Uniti furono proposti test di profitto, andando verso la produzione di esami standardizzati (Boncori, 1992). In Europa le prime ricerche in merito furono condotte da Francia e Inghilterra che misero in evidenza l’insufficienza degli esami tradizionali, incapaci di fornire dati completi per una reale valutazione e soprattutto poco credibili per la scarsa correlazione tra i risultati raccolti dai diversi correttori. Si moltiplicarono anche in altri Paesi (Inghilterra e Belgio per primi) indagini che avevano come interesse l’analisi sulla diversità di valutazione offerta da correttori differenti (Piéron, 1965).

Il problema della validità di tali valutazioni portò in Francia ad una ricerca di carattere più organico sui risultati dell’esame di baccalauréat nell’anno 1932-1933, che offrì alcune conclusioni interessanti e “inquietanti” (Vertecchi, 2003):
– lo scarto medio tra i correttori dei compiti è molto elevato, segno della mancanza di criteri condivisi nella correzione;
– anche il medesimo correttore non utilizza sempre gli stessi criteri: è possibile che, a distanza di tempo, valuti diversamente lo stesso compito;
– la gamma di voti utilizzata è diversa, sia nell’ampiezza che nella varietà;
– per ottenere un voto “vero” sarebbero necessari moltissimi correttori.

A queste osservazioni che evidenziarono le contraddizioni enormi che presiedevano alla valutazione degli studenti, con la concreta possibilità che venisse promosso chi non era sufficientemente preparato, mentre fosse bocciato chi aveva le qualità per proseguire negli studi, si aggiunse anche quella che la “psicologia del valutatore” avesse un grande influsso sull’esame dei risultati ottenuti dagli alunni agli esami o nelle quotidiane valutazioni fatte in classe. Tra le altre motivazioni che influiscono sulle possibilità degli insegnanti di essere imparziali e oggettivi, venne evidenziato il cosiddetto “effetto Pigmalione” (Rosenthal & Jacobson, 1972): il fatto, cioè, che le aspettative degli insegnanti hanno un effetto reale sulla riuscita scolastica degli allievi, perché creano un pregiudizio che conduce all’autorealizzarsi delle loro “profezie”; ciò è significativo sia perché evidenzia come la ricerca non si è limitata a denunciare le differenze valutative tra i correttori, sia perché mostra l’aspetto “sociale” della questione valutativa. 

La ricerca docimologica ha portato, dunque, all’accentuazione del measurement nell’ambito dell’attività valutativa. La finalità era quella di promuovere la validità e l’affidabilità delle valutazioni, mediante stimoli costanti e chiari ed esprimendo il giudizio valutativo con graduatorie o con il confronto rispetto a degli standard (Bettelheim, 1997). Questo meccanismo scientifico, ripreso dalle procedure dei test di laboratorio di altre scienze, produsse in qualche ricercatore una “acritica fiducia che una volta ottenuto una specie di strumento di misura costante e uguale per tutti, gli spinosi problemi della valutazione sarebbero stati risolti: la classificazione e la selezione degli alunni si sarebbe realizzata “scientificamente”, evitando ingiustizie, spreco o cattiva utilizzazione dei talenti” (Boscolo, 1978, p. 33).

L’intenzione iniziale che favorì lo sviluppo della pratica dei test era dunque anche pedagogica: i promotori desideravano raggiungere una situazione di giustizia educativa, attribuendo a ciascuno il proprio merito e le proprie capacità, nella maniera più fedele possibile. E a questo scopo la produzione delle prove oggettive sembrava essere la soluzione ottimale. D’altra parte, però, l’accentuazione del problema della scientificità delle operazioni di misura ha messo in secondo piano il problema prettamente pedagogico sull’utilità ed il ruolo degli esami, che costituiscono il vero oggetto di studio della docimologia (Hadji, 1995). 

A ciò seguì una vivace polemica (Viglietti, 1976), i cui strascichi culturali restano in parte ancora oggi, sull’opportunità dell’utilizzo dei test e delle prove standardizzate nella pratica scolastica. Per qualcuno, infatti, essi non costituivano solamente uno strumento didattico “neutro”, ma minavano alla base una concezione globale del valore della cultura: “lo studio non è esclusivamente studio mnemonico, nozionistico e perciò verbalistico […].Questo deve essere detto anche nei confronti di quelle nuove proposte di verifica degli esami, di controllo dell’attività di studio dei ragazzi nella pretesa di poter venire più direttamente a contatto con la individualità e con la intimità di ciascuno. La proposta di sostituire agli esami-colloquio le prove con tests, o con altre forme di valutazione psicologica, si fonda sempre sul presupposto che lo studio significhi esclusivamente apprendimento mnemonico, e che la cultura si riduca di fatto a possesso di nozioni” (Flores d’Arcais, 1956, p. 35).

In realtà, anche tra coloro i quali proponevano l’uso dei reattivi psicologici nella verifica dell’apprendimento, c’era il riconoscimento della loro parzialità (Calonghi, 1961). Da una parte, infatti, i test venivano ritenuti strumenti idonei per una valutazione complessiva e analitica di un alunno rispetto ai compagni, offrendo un sondaggio adeguato delle capacità di una persona e permettendo il confronto. Dall’altra, invece, non consentivano di osservare situazioni e atteggiamenti individuali, quali ad esempio l’interesse o la fatica; inoltre fornivano una precisa misura del risultato finale, non del metodo di lavoro utilizzato e degli eventuali errori.

Le prove oggettive non venivano più considerate sufficienti (Calonghi, 1956) e si propose, accanto ad esse, l’utilizzo delle prove diagnostiche, verifiche standardizzate che avevano lo scopo di identificare le cause delle difficoltà degli alunni. Esse potevano essere causate da situazioni intellettuali di immaturità (e perciò passeggere), da situazioni “ambientali”, quali ad esempio le assenze dalla scuola durante lo svolgimento di determinate parti del programma scolastico, dal metodo di insegnamento, da negligenze personali o da errori nella metodologia di lavoro degli studenti: una serie di condizioni che non potevano essere rilevate, né tantomeno corrette dai tradizionali test. Una proposta significativa, in questo ambito, che rimase voce piuttosto isolata nella ricerca italiana, fu l’introduzione dei saggi all’interno delle prove di valutazione operata da Calonghi (Coggi, 1997), con ricerche iniziate già dalla fine degli anni ’50. Essi venivano ritenuti strumenti migliori delle prove oggettive, in quanto consentivano di prendere in considerazione e valutare in modo sistematico e “oggettivo” aspetti particolari quali la precisione di concetti e lessico, la capacità di selezionare gli elementi essenziali da esporre, il saper organizzare le risposte adeguate alla domanda, il saper disporre i contenuti in modo funzionale all’argomentazione che si voleva sostenere e altro ancora.   In questa linea, si svilupperanno le riflessioni circa il legame tra valutazione e personalità e verranno riprese le osservazioni circa la necessità di tenere conto dei diversi fattori che contribuiscono all’istruzione e all’educazione (Calidoni & Petracchi, 1992).

3. La evaluation nell’ambito della teoria curricolare

È opportuno, arrivati a questo punto, accennare molto schematicamente all’ambito della teoria curricolare, con riferimento specifico all’elaborazione di Tyler che ha avuto un forte influsso sullo sviluppo della programmazione e della valutazione scolastica anche in Italia. Ci si trova, infatti, di fronte ad una proposta didattica di carattere sistemico e organico, nella quale il momento della verifica ha un suo ruolo preciso ed essenziale, in parte diverso da quanto fin qui emerso.  È un passo in avanti rispetto alla sottolineatura del measurement, che era stata proposta come rimedio alle critiche docimologiche. Infatti, “l’approccio che fu elaborato da R.W. Tyler in contrasto con quello psicometrico, partiva dalla constatazione della sua insufficienza: non bastava misurare attitudini, intelligenza, risultati scolastici e rappresentare le situazioni utilizzando le tecniche della statistica; occorreva adattare le esigenze della misurazione a un processo di valutazione fatto in riferimento a piani educativi esplicitati negli obiettivi che si intendono conseguire” (Pellerey, 1994, p. 133).   La valutazione, in chiave educativa, ha lo scopo di fornire a tutti i protagonisti del mondo della scuola (genitori, alunni, insegnanti, dirigenti, istituzioni) informazioni utili al proseguimento dell’itinerario formativo. Quindi, osservando che “Teachers obtain no information from a grade equivalent score about what the student has learned and what learning tasks he or she has difficulty” (Tyler, 1994, p. 274) è necessario effettuare le rilevazioni valutative con chiaro riferimento agli obiettivi, segnalando sia il tipo di prestazione richiesto che il contesto nel quale esso deve manifestarsi, riferendo ciò che è stato imparato e ciò che non lo è ancora, evitando astrattezze e riportando a ciascuno degli interessati le informazioni adatte: in tale piano il momento valutativo non riguarda solamente i risultati ottenuti dagli alunni, ma anche l’adeguatezza dei programmi che sono stati elaborati, delle attività inserite, della strutturazione didattica, degli obiettivi e delle finalità stabilite.

Riferimenti bibliografici

Acciaroli, L., & Vertecchi, B. (1992). L’espressione dei giudizi. Giunti & Lisciani
Benvenuto, G., & Giacomantonio, A. (2008a). La valutazione scolastica: letture e riflessioni. Un’antologia di testi sulle teorie della valutazione (Vol. 1). Nuova Cultura
Benvenuto, G., & Giacomantonio, A. (2008b). Un po’di storia della valutazione scolastica: letture e riflessioni. Roma: Centro Stampa Nuova Cultura
Bettelheim, B. (1997). Un genitore quasi perfetto, Feltrinelli Editore
Boncori, G. (1992). La valutazione -Indicazioni metodologiche e strumentali in prospettiva curricolare, Orientamenti pedagogici: rivista internazionale di scienze dell’educazione, Vol. 39-3, nº 231, pp. 643-662.
Boscolo, P. (1978). Obiettivi e valutazione nel processo educativo. Liviana Editrice
Calidoni, P., Petracchi, G. (1992). La valutazione degli alunni nella scuola elementare. Brescia, La Scuola
Calonghi, L. (1956). Tests e esperimenti: metodologia della ricerca  pedagogico-didattica. Pontificio Ateneo Salesiano
Calonghi, L. (1961). Reattivi nella scuola, Roma, PAS-Verlag
Coggi, C. (1997). Le ricerche di L. Calonghi sulla produzione scritta nel quadro degli studi internazionali. In La ricerca pedagogico-didattica (pp. 315-355). LAS
Giuffrida, S. (1885). Memorie d’un educatore. Catania, Giannotta
Hadji, C., (1995), La valutazione delle azioni educative. Brescia, La Scuola
Lombardo Radice, G. (1912). Lezioni di didattica, Palermo, Sandron
Pellerey, M. (1994). Progettazione didattica: metodi di programmazione educativa scolastica. Società editrice internazionale
Piacente, L. (1975). Battista Guarini De ordine docendi ac studendi. Introduzione, testo critico, traduzione e note di L. Piacente
Piéron, H., (1965). Esami e docimologia, Galli, N. (a cura di), Roma, Armando
Rosenthal, R., Jacobson, L., (1972). Pigmalione in classe: aspettative degli insegnanti e sviluppo intellettuale degli allievi, F. Angeli
Tommaseo, N. (1874). Sull’educazione. Pensieri, Milano, Treves
Tyler, R.W., (1994). Evaluation. A tylerian perspective, in: T. Husén, T. Neville Postlethwaite, The international encyclopedia of education. IV, London/New York/Tokyo, Elsevier Science, p. 2074
Vertecchi, B., (2003). Manuale della valutazione: analisi degli apprendimenti e dei contesti (Vol. 4), FrancoAngeli
Viglietti, M., (1976). Valutazione scolastica e diagnosi psicologica. La metodologia dei reattivi mentali, Roma, Paoline

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