Riflessioni di Antonio Augenti dalla rivista “TUTTOSCUOLA”
Il titolo dato a questa rubrica pretende che ci si interroghi ancora una volta su quella che s’intende come identità europea. L’interrogativo è sollecitato dalle vicende attraversate in questi ultimi anni dal quadrante europeo e dai comportamenti osservati da alcuni paesi all’interno dell’Unione.
Non si fa ormai più velo sulle decisioni adottate, ad esempio, dall’Ungheria e dalla stessa Polonia in modo difforme da quelle promosse in altre parti dell’Unione, su temi sensibili quali i finanziamenti ordinati dalle Istituzioni europee, o il governo del fenomeno delle migrazioni verso il Continente europeo, o ancora l’osservanza dei diritti umani e civili.
La stessa vicenda dell’Ucraina, che ha reagito all’invasione russa, invocando contestualmente l’ingresso nell’Unione, è un dato di rappresentazione geopolitica che pone l’accento sulle problematiche appartenenze ad un ideale europeo, da sempre sognato o immaginato come tale da pensatori, politici e dagli stessi uomini e donne della strada.
Il problema che tocchiamo ha, però, una maggiore profondità. Molti anni fa, siamo nel 1983, fu mandato alle stampe un lavoro a firma di Milan Kundera, scrittore di successo, nel quale si riprendeva il discorso da lui tenuto in Cecoslovacchia, al IV Congresso dell’Unione degli scrittori. Il volume fu poi pubblicato anche in Italia nel 2022 da Adelphi con il titolo “Un Occidente prigioniero”.
La tesi esposta da Kundera intende accreditare l’esistenza di un’Europa occidentale, di un’Europa versata politicamente ad Est, e di un’Europa centrale che ha “la sua barra politica ad Est, ma la sua storia culturale in Occidente”. Kundera porta gli esempi dell’Ungheria, dell’Austria e della stessa Polonia come emblematici: piccole nazioni accomunate da un destino contraddittorio, miscuglio di culture diverse, sempre “a rischio di morire”, scosse da movimenti interni di opposizione e di rivolta contro tentativi di spegnimento della vita democratica e liberale (1956, 1968, 1970), ma con un fervore culturale che potrebbe essere interpretato come “una lunga meditazione sulla possibile fine dell’umanità”.
Ciò che maggiormente tocca il lettore di “Un Occidente prigioniero” è la sensazione di smarrimento e di incertezza che viene partecipata da comunità che premono ancora, pur facendo ormai parte di una Unione di Stati, sul pedale di nazionalismi che non hanno alcun senso in una fase storica nella quale la sfida tecnologica, quella ecologica e quella stessa nucleare invocano una responsabilità e una cooperazione globale. Tuttavia, non si capirà molto di questi paesi e delle loro nascoste aspirazioni ad essere diversi, se non si aprirà un confronto serio e responsabile con gli altri paesi di un Occidente, nominalmente più aperto, meno insabbiato nei sovranismi locali, ma sofferente anch’esso per le crisi non indolori subite da democrazie incapaci di risolvere i problemi del rapporto tra libertà e uguaglianza.
La saldatura tra le varie parti di un’Europa così letta sta nel recupero di una voce oggi assente, quella della cultura. Sotto le ceneri di democrazie incompiute, o nelle pieghe più intime della memoria si conservano storie umane anche di dedizione per le tradizioni più sane di popoli che hanno dato valore insieme all’amore e alla ragione. Ciò che culturalmente è stato elaborato non deve essere interpretato come ricerca di identità fisse e consolidate, ma quale desiderio e spinta verso l’acquisizione cosciente di quei principi e valori fondamentali con i quali si costruisce la dignità della persona.
E’ questo il piano del tessuto connettivo che può tenere insieme le diverse parti dell’Europa. Ricorda F.Fukuyama, citando Hegel, che “la storia umana è sospinta da una lotta per il riconoscimento. L’unica soluzione razionale per il desiderio di riconoscimento è il riconoscimento universale, nel quale viene accreditata la dignità di ogni essere umano”. E’ l’identità culturale quella che conta e che l’Europa sta rischiando, come taluno osserva, di smettere. Per evitare o contenere tale rischio, spetta soprattutto ai giovani tenerne conto.