Luciano Corradini e le storie autobiografie di ex studenti
Mi permetto di iniziare la presentazione di questo libro, costituito dalle autobiografie di miei ex studenti diplomati periti industriali negli anni 1964, ’65, ’66, di cui sono stato insegnante di italiano, storia ed educazione civica, rispondendo ai dubbi e alle domande che si pone uno di questi signori, il dottor Vilder Predieri, nelle riflessioni introduttive al suo impegno di scrivere sulla sua vicenda umana e scolastica.
“Visto che, a quasi 60 anni di distanza, trova ancora il tempo di pensare a noi, di stare insieme a noi, di occuparsi e preoccuparsi delle nostre vite, in questa vicenda, mi piace pensare che anche a lui abbiamo dato qualcosa di importante. Mi chiedo: perché Corradini dialoga proprio con noi, fra le tante persone che ha incontrato o a cui ha insegnato e con cui ha collaborato? È una risposta che non mi so dare. Se mi limitassi a scrivere di qualche episodio di vita passata, me la caverei con poco. Al contrario, le emozioni sono state tante e raccontarle risulta molto più complesso. Nella scuola ho avuto l’occasione d’incontrare alcune persone importanti e, fra queste, insegnanti con grandi doti umane…”. (…)
(Come, ndr) attirare l’attenzione “di un giovane disposto a spegnere un minuto il cellulare, per cominciare a leggere il racconto di un signore che potrebbe essere suo nonno”. Riferendosi poi al sottoscritto si chiede: “Come faceva lui ad attirare la mia attenzione, prima che io mi distraessi o mi occupassi della materia dell’ora successiva?”
Provo a rispondere alla prima domanda con cui mi chiede perché dialogo proprio con loro, fornendo anche una risposta che mi rincuora, quando dice: “mi piace pensare che anche a lui abbiamo dato qualcosa d’importante”. Proprio così. Io ho vissuto volentieri i miei tre anni all’ITI. Ero contento d’incontrarvi, di ascoltarvi, di rispondere alle vostre domande. Non era scontato.(…)
Quando, trent’anni dopo, feci il gesto provocatorio del volontariato fiscale, da cui è nata un’Associazione per la riduzione del debito pubblico, una classe si riunì e mi invitò a cena all’Astoria. Quei signori vennero con le loro mogli, e io portai la mia. Uno mi mostrò un quaderno, con i miei giudizi scritti sui temi di allora, dicendo che questi l’avevano aiutato a leggersi dentro. Un altro disse che, spiegando i poeti, l’avevo aiutato a comunicare con la sua futura moglie e con i suoi futuri figli. Una serata magnifica, che non restò l’unica, a tema libero. Facendo per gioco l’appello, prima di sedermi a tavola, con l’elenco degli studenti fornitomi da una brillante segretaria dell’ITI, riconoscevo solo in parte i nomi dei signori che avevo di fronte, ma la mia e nostra memoria affettiva era forte, perché ridevamo commuovendoci. (…)
Veniamo all’altra domanda, che riguarda la difficoltà dei giovani, ma non solo, di staccarsi dal telefonino, come i poppanti dal seno materno, per ascoltare, parlare, interrogare, rispondere con un po’ d’interesse e di garbo a un volto reale o a un libro cartaceo: non solo per passare un esame o per chiacchierare, ma anche per ragionare insieme sulle cause degli avvenimenti e su quello che possiamo essere, pensare e modificare per dare a questo complicato e precario mondo un senso più “umano”. Diversi miei nipoti non rispondono quasi mai alle mail con cui cerco di mescolare l’utile al seducente, per informarli su qualcosa o per avviare qualche discorso che ci renda più trasparenti e amici. Prendo atto che i cambiamenti climatici non riguardano solo la terra e il cielo, ma anche l’antropocene, cioè l’era geologica in cui siamo entrati e in cui pare che non facciamo abbastanza per assumerci le nostre corresponsabilità verso gli altri e verso il futuro. Tutto, certo, non si può dire e fare, sempre e con tutti. Ma qualcosa sì, se si drizzano le antenne e si parla o chatta con qualcuno disponibile a fare un po’ di strada insieme verso un orizzonte più “pulito” e meno inquietante e ingiusto di quello che ci viene incontro. (…)
Le autobiografie non “dimostrano” nulla in senso geometrico o sperimentale, ma consentono di comparare tempi e vite diverse e di far pensare chi le scrive e chi le legge. Talora informano e stupiscono, talora divertono come racconti romanzeschi, talora fanno capire quanta umanità c’è stata nella vita familiare e professionale di genitori e nonni, e anche quanti limiti si sono incontrati, anche senza reagire con violenze o “contestazioni globali”, nel mondo delle istituzioni, scuola inclusa. Quello che ho chiamato il “programma editoriale comune” è nato quasi per caso, e maturato lentamente, ma in un terreno predisposto, in cui abbiamo seminato con qualche timidezza e inizialmente in ordine sparso.
dalla Introduzione di Luciano Corradini